[inform_azione] Bambini, libertà e decrescita: la proposta delle scuole democratiche e libertarie | Decrescita Felice Social Network

  • From: Diego Iracà <d_ego_1969@xxxxxxxx>
  • To: inform_azione@xxxxxxxxxxxxx
  • Date: Sun, 17 Jun 2012 09:57:34 +0200

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Bambini, libertà e decrescita: la proposta delle scuole democratiche e 
libertarie
SOCIETÀ                                                                         
                                                        di Federico Tabellini  
|  il 11 giugno 2012  |  9 commenti
Il tema della scuola, negli scritti sulla decrescita, passa generalmente in 
secondo piano. Anche quando si discute di decolonizzazione dell’immaginario e 
di risveglio culturale, si tende a porre l’enfasi sull’influenza della 
pubblicità, dei media, della propaganda politica ed economica. Eppure la 
scuola, insieme alla famiglia, è ancora oggi un elemento centrale nella 
formazione degli individui. Tutti devono passarci, nessuno escluso: essa 
rappresenta lo spazio di socialità per eccellenza dei bambini, nonché la fonte 
principale delle loro preoccupazioni e delle loro conquiste.

Quando parliamo di scuola abbiamo tutti in mente degli elementi ben precisi i 
quali, uniti, costituiscono il modello scolastico occidentale, considerato da 
più parti come una tra le più grandi conquiste del secolo scorso. 
Nell’istruzione standardizzata e aperta a tutti si ravvisano criteri di 
eguaglianza, mentre nel sistema ad esami basati su valutazioni imparziali 
poggerebbe la tanto blasonata meritocrazia a cui tutti noi, cittadini 
democratici, dobbiamo un venerante rispetto. Raramente, tuttavia, se ne 
considerano gli effetti negativi.

Valutazioni.

Fra questi occorre innanzitutto evidenziare le logiche di competizione insite 
nel modello ed esasperate da un sistema di valutazioni univoco e inappellabile, 
basato su premi (voti positivi) e punizioni (voti negativi, ma anche note sul 
registro e strigliate verbali), che non lascia spazio a dinamiche di 
cooperazione fra gli alunni in quanto controproducenti a livello individuale 
(ognuno lavora per sé, e se aiuta un altro a prendere un voto più altro il suo 
avrà di conseguenza meno risalto). Un tale modello sposta l’attenzione degli 
studenti dal processo d’apprendimento in sé al premio finale, dallo studio per 
lo studio allo studio per il voto, finendo col far perdere interesse per 
l’oggetto dell’apprendimento in se stesso. Ve ne potete rendere facilmente 
conto prendendo un autobus in una qualsiasi città italiana negli orari di 
uscita dalle scuole. Le domande che sentirete gli studenti porsi avranno più o 
meno tutte lo stesso tenore: “quanto hai in mate?”, “quanto hai preso in 
storia?”; di rado udirete invece domande quali “sei capace di risolvere 
un’equazione quadratica?” o “cosa ne pensi del sacco di Roma”. La 
stigmatizzazione di chi ottiene valutazioni inferiori (e talvolta anche di chi 
ne ottiene di elevate) è un’altra conseguenza diretta e naturale di questo tipo 
di approccio all’insegnamento. Competizione e individualismo vengono premiati 
fin dalla più tenera età, ergendosi a capisaldi della vita scolastica 
quotidiana.

Programmi standardizzati.

La presenza di curriculum standardizzati alle superiori e addirittura di un 
unico curriculum (con lievi variazioni da scuola a scuola) per medie ed 
elementari è un altro elemento affatto privo di conseguenze. Esso conduce ad 
un’omologazione delle conoscenze fra i discenti e, in nome di un supposto 
eguale diritto allo studio, priva questi ultimi di qualsivoglia facoltà di 
scelta circa le materie da studiare, escludendo numerose branche del sapere e 
priviligiandone altre. Così ad esempio la letteratura italiana si studia fino 
alla noia alle elementari, alle medie e alle superiori, mentre le nozioni più 
basilari di economia o di storia del cinema (solo per citare due esempi) non 
sono di solito nemmeno prese in considerazione dai programmi ministeriali. 
Perfino in materie sovratrattate come l’italiano alcuni autori vengono fatti 
studiare fino allo sfinimento, mentre altri sono solamente accennati o 
addirittura taciuti. Si giunge in tal modo al paradosso di bambini e ragazzi 
che, provando forti interessi per materie di studio non convenzionali, sono 
invece portati a studiarne altre coattivamente e con scarso profitto (è più 
difficile studiare qualcosa che non interessa), mentre coloro i quali sono 
interessati alla letteratura italiana – o alla matematica, o alla storia – 
otterranno risultati migliori con relativa facilità. La realtà è che si tratta 
di due studenti con differenti interessi, mentre verranno giudicati dagli 
insegnanti, dai genitori e dalla società come individui più o meno portati per 
lo studio.

E tuttavia sarebbe miope non ravvisare che il problema di fondo insito 
nell’omologazione dei programmi è un altro. Lo dirò chiaramente e senza troppi 
giri di parole: l’imposizione di programmi non personalizzabili e calati 
dall’alto prescindendo dagli interessi personali dei singoli studenti, conduce 
inevitabilmente al prosciugamento dell’interesse. La spontanea curiosità del 
bambini viene meno quando non è lasciata loro la possibilità di porre domande 
ed ottenere risposte, quando sono costretti a marcire per anni e anni 
all’interno di un’istituzione gerarchica, divisa rigidamente a livello 
temporale (anni scolastici, orari, pause che iniziano e finiscono con una 
campanella) e spaziale (classi divise per età), dove è obbligatorio eseguire 
gli ordini con una certa costanza – pena il dover ripetere un anno – e dove il 
diritto allo studio è un diritto vuoto, perché è un diritto a qualcosa deciso 
da altri, secondo criteri di altri e senza possibilità di recesso. E’ un 
diritto al dovere, come lo era la coscrizione obbligatoria. Per difendere la 
patria e la nazione la prima, per difendere la tradizione e lo status quo la 
seconda.

Un modello antropologico di uomo.

Ma qual’è il modello di adulto che una tale scuola mira, come istituzione, a 
produrre? E uso il verbo produrre di proposito, al fine di sottolineare il 
fatto che l’istruzione scolastica occidentale è funzionale al modello 
economico-sociale vigente.

All’economia, alla politica – per il quieto vivere – occorrono adulti 
obbedienti, colti ma di una cultura stantia, arrugginita, che credano 
ciecamente nelle regole stabilite (perché è stato sempre così) e che anche 
quando si ribellano lo facciano riportando in vita antiche ribellioni, magari 
un comunismo d’altri tempi urlato senza sapere bene contro chi, per ammantarsi 
di ideali che non si conoscono. Persone in grado di obbedire agli ordini senza 
porsi troppe domande, che sfoghino le proprie repressioni nel consumo; che 
lavorino duro per consumare di più e per riuscire a far carriera così da poter 
incrementare ancora e ancora i propri consumi. E l’economia gira, ed è 
prosperità, e tutti sono felici nella propria gabbia d’oro – o d’argento, o di 
bronzo – perché sono liberi di scegliere, anche se quasi nessuno lo fa mai. Del 
resto la scuola ha insegnato loro che l’obbedienza alle norme costituite 
premia, permette di ottenere buoni risultati, di essere giudicati bene dagli 
altri, al contrario del pensiero critico.

Il senso di responsabilità che la scuola trasmette è un senso di responsabilità 
passivo, che si esaurisce nel fare quello che ci viene detto senza discutere, 
nel consegnare i compiti assegnati in orario, ben ordinati e compilati. Non vi 
è responsabilità per le scelte fatte, perché a scuola non sono gli studenti a 
scegliere. E allora all’autodisciplina si sostituisce la disciplina, e la 
convinzione che i bambini vadano spinti con la forza nella giusta direzione, 
perché altrimenti si perderebbero o farebbero chissà quale follia (magari 
giocherebbero… non sia mai!), è radicata profondamente nella mente degli adulti.

Qualcuno adesso dirà: “ma se non li formassimo per far si che ottengano un buon 
lavoro e un buono stipendio faremmo solo loro del male! I bambini non sanno 
cos’è meglio per loro!”. Siamo sicuri di saperlo noi, invece? Davvero siamo a 
tal punto persuasi che un lavoro remunerativo e un portafogli pieno siano la 
cosa migliore? Che per ottenerli si possano sacrificare senza pensarci anni di 
vita in una classe, e poi otto ore al giorno per il resto della nostra vita? 
Non sarebbe meglio realizzare qualcosa di creativo, gratificante, anche se 
sottopagato? Non sarebbe meglio lavorare tre ore al giorno invece che otto, e 
andare in giro in bicicletta invece che in auto? Non sarebbe meglio sacrificare 
l’avere anziché l’essere?

Non è filosofia, ma un invito a riflettere sul nostro attuale stile di vita. Ci 
consideriamo liberi di scegliere, ma siamo schiavi delle cose che potremmo 
possedere. Lo siamo a tal punto da obbligare i nostri figli a studiare per anni 
e anni solo per permettergli di avere una macchina lussuosa e una casa con 
giardino. La maggior parte di loro, per quanto ci sforziamo, finirà per 
ottenere un lavoro da impiegato e vivrà in un appartamento di periferia, ma 
vale la pena di tentare, c’è sempre speranza!

Non intendo sostenere naturalmente che bisognerebbe impedire ai nostri figli di 
vivere le proprie vite da consumatori, che bisognerebbe fare di loro degli 
eremiti. Dico solo che andrebbero loro concessi gli strumenti per vivere 
altrimenti. E’ necessario concedere ai giovani la possibilità di scegliere in 
modo autonomo cosa vogliano essere, permettendo loro di agire di conseguenza, 
seguendo le proprie inclinazioni. Non tutti diventeranno manager di 
multinazionali, perché non tutti sono portati a farlo e – incredibile ma vero – 
non tutti lo vogliono.

Ad alcuni bambini piace costruire le cose: diventeranno degli ottimi 
architetti, o degli ottimi muratori o ingegneri. Fare il muratore non è affatto 
un fallimento per uno che voglia farlo, a meno che in una società i muratori 
vengano visti come persone di serie B. A meno che i muratori non facciano i 
muratori perché hanno fallito nel tentativo di diventare a tutti i costi dei 
manager.

Utopia.

E’ questa la parola, a caratteri maiuscoli, che spiccava come primo commento di 
un mio articolo di qualche tempo fa dove parlavo di queste cose. Il commento 
finiva lì, una sola parola a bollare un’idea troppo estrema, troppo in antitesi 
con il nostro modo di pensare. Assurdo permettere ai bambini di decidere 
autonomamente cosa studiare e quando farlo, o di non farlo affatto. Permettere 
loro di decidere tutti insieme e con gli insegnanti le regole della scuola. 
Assurdo non valutare giorno per giorno le loro prestazioni attraverso dei 
numeri. Assurda una scuola aperta all’arte, alla creatività; una scuola dove si 
possa giocare!

Eppure, nonostante tutto, mi sento di dire con forza che non si tratta di 
un’utopia. Non solo una scuola di questo tipo è possibile: esiste già, e da 
molto tempo.

Scuole libertarie, scuole democratiche.

Si chiamano scuole libertarie, o democratiche (a seconda dell’enfasi maggiore 
che si vuole conferire all’uno o all’altro dei componenti che ne sono alla 
base: la libertà e la partecipazione) e sono oramai diffuse in molti paesi del 
mondo, Italia inclusa. Sebbene possano differire sensibilmente fra loro, in 
quanto a struttura e pratiche, tre elementi le accomunano tutte:

1) L’assenza di voti.

I bambini semplicemente non vengono giudicati per le loro conoscenze. Non vi 
sono né verifiche né esami né interrogazioni (sacrilegio!). La cosa 
sorprendente è che molto spesso in assenza di questi elementi i bambini 
apprendono più velocemente, fanno più domande quando non capiscono qualcosa 
(poiché non hanno paura di essere giudicati per questo) e instaurano fra loro 
meccanismi di cooperazione finalizzati all’apprendimento e non ai feedback 
dell’insegnante (copiare diventa una pratica priva di senso).

2) L’assenza dell’obbligo di frequenza delle lezioni e la possibilità di 
scegliere quali lezioni frequentare.

I bambini che si trovano in classe in una scuola libertaria sono lì perché 
vogliono esserci, dunque quando ci sono seguono con attenzione, cercano di 
apprendere il più possibile e partecipano più attivamente dei bambini che 
frequentano una scuola tradizionale. Se vogliono possono non andare affatto a 
lezione, scegliendo di giocare o fare altro (ad esempio leggere qualcosa che 
stimola il loro interesse). In certe scuole alcune lezioni (di solito quelle 
riguardanti argomenti giudicati essenziali quali leggere e scrivere, o 
l’aritmentica di base) hanno carattere obbligatorio, in altre perfino queste 
sono facoltative. Nel secondo caso, l’esperienza insegna che la grande 
maggioranza dei bambini sceglie di frequentarle comunque.

3) Assemblea generale.

In un certo senso il cuore pulsante di ogni scuola democratica. Si tratta di un 
organo assembleare al quale partecipano tutti i membri della scuola, ovvero 
studenti, insegnanti e (ma non sempre) genitori. Ogni individuo ha un voto, 
dunque il voto di un insegnante vale come quello di un bambino. L’assemblea si 
occupa di promulgare, revisionare e cassare le regole della scuola, 
sottoponendo a votazione le proposte originate dai suoi membri sulla base di 
principi maggioritari di varia natura (di solito lo standard è la maggioranza 
semplice). Una volta che una regola è stata approvata dall’assemblea tutti, 
senza eccezioni, sono tenuti a rispettarla, pena una sanzione (di solito decisa 
dall’assemblea stessa). In questo modo ogni bambino si sente maggiormente 
responsabile delle proprie azioni, poiché le regole che è tenuto a rispettare 
non sono calate dall’alto ma sono state elaborate con il suo contributo e 
approvate con il suo consenso.

Lo scopo della scuola è la felicità.

Detto così potrebbe suonare strano o banale. Naturalmente lo sviluppo umano dei 
bambini, dal punto di vista emotivo (fiducia in se stessi, socialità ecc.) e 
intellettuale (cultura, senso critico, creatività) resta lo scopo più tangibile 
di una scuola libertaria, e spesso rappresenta anche l’intento manifesto delle 
scuole tradizionali (sebbene nei fatti poi le cose siano molto diverse). Quello 
che cambia è il fine di lungo periodo e l’ideale a cui quest’ultimo fa 
riferimento. Nel caso di una scuola tradizionale si tratta dell’inserimento 
nella società, possibilmente in una posizione rispettata e ben remunerata. 
Quello di una scuola libertaria è far sì che i bambini siano felici, e metterli 
in condizione di divenire adulti altrettanto felici. A questo fine non conta 
riuscire a occupare una posizione di prestigio, quanto realizzare se stessi 
seguendo la propria strada. Non la strada che altri ritengono una buona strada, 
non ciò che da altri è considerato un buon lavoro, ma ciò che il bambino vuole 
fare. In altre parole, fornire a ognuno gli strumenti per sviluppare le proprie 
peculiari capacità secondo i propri desideri. Agli insegnanti, in questa 
prospettiva, è assegnato il compito di aiutare gli allievi a trovare il proprio 
percorso e a seguirlo e non, come accade nelle scuole tradizionali, di 
spingerli a imboccarne uno precostituito e giudicato migliore per loro dalla 
società.

Una società felice inizia con dei bambini felici.

Mi piace pensare alle società della decrescita come a società della crescita 
umana. Società libere dove ognuno possa seguire le proprie inclinazioni con 
calma, senza subire pressioni per arrivare a essere qualcuno, per riuscire a 
comprarsi una felicità. Potrebbe apparire folle l’idea di estendere questa 
libertà ai bambini. Io ritengo, al contrario, che quando riusciremo a 
sostituire l’aggettivo folle con l’aggettivo necessario avremo compiuto un 
passo enorme nella direzione di una società più serena. Bambini educati a 
essere liberi di seguire i propri tempi diverranno adulti più calmi, più sicuri 
e più sociali. Solo in questo modo sarà possibile sostituire la retorica e la 
pratica della competizione con la retorica e la pratica della cooperazione. La 
cooperazione volontaria, basata sul rispetto della libertà degli altri.
Il fatto che molte persone giudichino proposte come questa utopiche non è 
affatto indice della loro irrealizzabilità, quanto della scarsa lungimiranza a 
cui ci ha abituati un’istruzione da automi, che ci ha trasmesso una visione 
della storia lineare e inesorabile. Ma le cose stanno lentamente cambiando. 
L’ideale di una scuola più libera, veicolato delle scuole democratiche di tutto 
il mondo, si sta espandendo, e ottiene sempre maggiori consensi anche nella 
vecchia Europa.

Nel 2008, ad esempio, è nata, dall’unione di diverse realtà europee, l’EUDEC, 
organizzazione che si pone l’obiettivo di coordinare e aiutare le scuole 
democratiche già attive e quelle che ancora devono nascere. Un’organizzazione 
simile già esiste negli Stati Uniti, e un’altra potrebbe nascere a breve in 
America Latina.

Conclusioni.

Non voglio dilungarmi oltre, data la lunghezza considerevole già raggiunta 
dall’articolo. Per chi volesse approfondire, riporto di seguito alcuni siti 
dove è possibile reperire maggiori informazioni a proposito dell’educazione 
libertaria:

Punto di riferimento importantissimo è sicuramente il sito ufficiale 
dell’EUDEC, consultabile all’indirizzo www.eudec.org.

Vi è poi il sito della Rete per l’Educazione Libertaria, movimento che riunisce 
la maggior parte delle realtà italiane: www.educazionelibertaria.org.

(In questi due siti ospitano inoltre numerosi link verso altri siti e blog 
riguardanti il tema dell’educazione libertaria e democratica.)

Infine, il sito ufficiale della Kiskanu, una fra le più grandi scuole 
democratiche italiane, con sede a Verona: www.kiskanu.org.

Ci sarebbe naturalmente molto di più da dire sull’argomento, e diversi punti 
importanti non sono stati nemmeno sfiorati dal presente articolo. Vi invito 
dunque ad approfondire sui siti segnalati e a commentare numerosi, facendomi 
sapere la vostra opinione. Sono consapevole che, inevitabilmente, molti 
sentiranno l’impulso irresistibile a scrivere una sola parola, come fece la 
lettrice del mio blog tempo fa: UTOPIA. A loro in particolare chiedo di 
approfondire, magari visionando anche i diversi documentari e interviste 
disponibili in rete, girati nelle scuole, e di prendere visione con i propri 
occhi di queste realtà. Dopo un po’ che li si osserva ci si rende conto che in 
effetti non c’è niente di davvero strano o artefatto: sono semplicemente dei 
bambini che imparano e che giocano. Molti di loro probabilmente non sanno 
nemmeno che c’è chi considera le loro esperienze di tutti i giorni un’utopia, e 
probabilmente di questa parola quasi tutti ignorano persino il significato. 
Probabilmente, trasferiti in una scuola elementare tradizionale, troverebbero 
tutto quanto molto bizzarro, e chiederebbero in tutta naturalità agli 
insegnanti e agli altri bambini quando si tiene la prossima assemblea, perché 
ci sarebbero diverse cose che andrebbero cambiate e che vorrebbero proporre. Si 
potrebbe allora dire che l’utopia, come la bellezza, sta negli occhi di chi 
guarda.

Alla prossima.

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Autore


FEDERICO TABELLINI

Federico Tabellini ha 23 anni e si laureato in Scienze Politiche all'università 
statale di Milano, con una tesi legata al tema della decrescita. I suoi 
interessi spaziano dall'ecologia alla filosofia religiosa. Cura due blog, uno 
dei quali sulla decrescita (in collaborazione con Mirko Omiccioli): 
www.acrescita.org. L'altro, più personale, raccoglie riflessioni e articoli su 
vari argomenti, oltre alle poesie dell'autore: www.imagopovi.wordpress.com.

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commenti (9)

 
Alessandra Piccoli
lunedì - 11 / 06 / 2012 Rispondi
Ho letto con attenzione l'intero documento poiché il tema dell'educazione 
scolastica come mamma mi coinvolge moltissimo, pur da profana in tema di 
pedagogia. La mia perplessità innanzi tutto è legata alla reale applicabilità 
del sistema a livello estensivo, ovvero aperto a tutta la popolazione senza 
discriminazioni. Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, 
potrebbe frequentare utilmente una simile scuola? Non vede il rischio che i 
bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla famiglia o che a casa vivano 
situazioni difficili possano essere svantaggiati? Certo non più di quanto 
avviene nella scuola tradizionale, che ha enormi e paurose carenze come anche 
da lei evidenziato. Quanto è rilevante l'apporto dei genitori nel pieno 
realizzarsi di una scuola libertaria? Da qui la coerenza di pretendere dallo 
Stato il riconoscimento di questa forma scolastica ed educativa, preludio 
necessario alla condivisione delle spese. Quest'ultimo è un elemento molto 
delicato di tutte le forme scolastico-educative alternative a quella pubblica: 
come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di 
quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili? Infine una 
domanda pratica: come fanno le scuole libertarie a far riconoscere 
l'adempimento dell'obbligo formativo, previsto per legge, senza sostenere mai 
esami e rispettare programmi? Si tratta di una curiosità, non di una critica.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
Cara Alessandra, le rispondo con piacere. Devo dire che ha toccato, con il suo 
intervento, alcuni fra i punti più problematici della questione "scuole 
libertarie". "Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, 
potrebbe frequentare utilmente una simile scuola?" Per rispondere alla prima 
domanda occorrerebbe preliminarmente definire cosa si intenda con la parola 
"utilmente". Ovvero occorrerebbe stabilire quale debba essere l'obiettivo 
finale dell'istituzione scuola. Se l'obiettivo designato fosse lo sviluppo 
armonico dell'individuo, delle sue capacità e talenti, ritengo che le scuole 
libertarie soddisfino molto meglio delle scuole tradizionali il proprio 
compito. Se altresì l'obiettivo fosse la formazione di individui che possano 
inserirsi con successo nelle attuali società, la risposta è più dubbia. 
Certamente un bambino che fosse interessato a sviluppare le capacità 
maggiormente richieste dal mondo del lavoro, attraverso un'educazione 
libertaria avrebbe la possibilità di svilupparle con profitto e accedere in 
seguito a una vita di successo dal punto di vista finanziario e del prestigio 
sociale. Come nell'esempio fatto nell'articolo, invece, un bambino che si 
interessasse tutto il tempo alle costruzioni potrebbe, finita la scuola, 
diventare un ottimo muratore. E molto probabilmente, a parità di condizioni 
esterne, sarebbe soddisfatto del suo lavoro tanto quanto il primo bambino. Il 
suo essere eventualmente meno felice sarebbe da imputare in misura sostanziale 
al minore apprezzamento della sua mansione da parte della società, dei suoi 
amici, dei suoi genitori e parenti. Ma il problema sta nella società (e nei 
genitori, e negli amici e nei parenti) o nel bambino (ormai adulto) e nel tipo 
di istruzione che ha ricevuto? Un muratore è una persona che non ha studiato o 
è una persona che ha studiato per diventare muratore? Seguendo la logica della 
società odierna, ma ribaltandola, si potrebbe tranquillamente sostenere che un 
professore universitario sia un ignorante, perché non sarebbe in grado di 
costruire un banale muro di mattoni. Il problema, appunto, non è generato dal 
lasciare che le persone sviluppino le proprie capacità peculiari in libertà, 
quanto dal fatto che alcune di queste siano tenute in grande considerazione 
dalla società mentre altre no. Il punto di vista delle scuole libertarie è che 
sia meglio produrre muratori felici piuttosto che ingegneri frustrati.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
"Non vede il rischio che i bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla 
famiglia o che a casa vivano situazioni difficili possano essere svantaggiati?" 
Il rischio esiste, ed è difficilmente gestibile dalla scuola, in quanto 
quest'ultima è solo uno degli assi portanti dello sviluppo del bambino, l'altro 
è costituito dalla famiglia, e in particolare dai genitori. Attualmente il 
problema è sicuramente marginale, in quanto la stragrande maggioranza dei 
bambini che frequentano scuole libertarie si trovano lì perché i genitori hanno 
scelto di mandarceli. E' molto raro poi che un bambino chieda di cambiare e 
andare in una scuola tradizionale, soprattutto se lì ha iniziato la sua 
carriera scolastica. Nel caso le scuole libertarie si diffondessero e 
divenissero maggiormente riconosciute (come sono già, ad esempio, in Israele) 
potrebbe accadere che alcuni genitori scelgano di mandare i propri figli a 
studiare in una scuola libertaria senza conoscerne la filosofia di fondo e in 
seguito, venendone a conoscenza, inizino ad osteggiarla. Come lei stessa ha 
evidenziato, tuttavia, si tratta di casi limite, che comunque sono presenti 
anche nelle realtà tradizionali. Là però i bambini non hanno alcuna possibilità 
di dire la loro, essendo completamente in balia dell'istituzione, e gli stessi 
genitori hanno limitatissime libertà di intervento (mentre, ricordo, in diverse 
scuole libertarie i genitori possono partecipare attivamente alle assemblee e 
in generale alla vita scolastica). Bisogna tenere presente che la via 
libertaria e democratica all'istruzione non è la panacea per tutti i mali della 
società; semplicemente (ma è la mia opinione, condivisibile o meno) propone, 
per alcuni di questi mali, soluzioni più efficaci di quelle tradizionali, 
usando libertà e democrazia anziché gerarchia e dispotismo.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
"Quanto è rilevante l'apporto dei genitori nel pieno realizzarsi di una scuola 
libertaria?" Tralasciando l'apporto economico, oggetto della sua successiva 
domanda, direi che in media l'apporto dei genitori è decisamente superiore a 
quello permesso da una scuola tradizionale. Dico in media perché ogni scuola 
libertaria è un caso a sé (per via delle ragioni già spiegate nell'articolo). 
Si va dall'estremo del genitore che partecipa all'assemblea e svolge attività 
di volontariato nella scuola (ad esempio aiutando in cucina, oppure in veste di 
insegnante part-time delle materie di cui è esperto), a quello del genitore che 
si limita a portare il figlio a scuola e a venirlo a prendere, come in una 
scuola tradizionale. Vi sono poi casi di scuola-comunità, come Summerhill in 
Inghilterra, dove i bambini vivono nella scuola e tornano a casa solo nei 
periodi di vacanza. Quindi, se da una parte i genitori hanno spesso maggiori 
possibilità di partecipazione alla vita scolastica, dall'altra posseggono meno 
potere sui propri figli, non potendoli obbligare a svolgere i compiti a casa o 
a studiare le materie d'esame (in quanto gli uni e le altre non sono presenti, 
o non posseggono carattere obbligatorio).
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
"Come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di 
quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili?" Anche qui è 
impossibile dare una risposta univoca. Naturalmente la soluzione ideale sarebbe 
il riconoscimento da parte dello stato e l'avvio di sovvenzioni pubbliche. Dato 
che tale obiettivo, sebbene molto sentito da parte di insegnanti e genitori 
libertari, in molti stati (fra cui l'Italia) sia ancora lungi dal realizzarsi, 
le soluzioni per consentire ai genitori che non si possono permettere la quota 
mensile di iscrivere comunque i propri figli sono diverse (e purtroppo spesso 
insoddisfacenti). Si va, a seconda della scuola, dalla destinazione di una 
parte della quota mensile al finanziamento di borse di studio destinate alle 
famiglie meno abbienti, al lavoro nella scuola da parte dei genitori in cambio 
di uno sconto sulla quota mensile. Molte famiglie naturalmente non potranno 
comunque avere accesso ad un'istruzione libertaria per i propri figli, e 
proprio questo è uno dei problemi principali a cui le varie associazioni 
(l'EUDEC in primis) stanno cercando di trovare soluzioni.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
"Come fanno le scuole libertarie a far riconoscere l'adempimento dell'obbligo 
formativo, previsto per legge, senza sostenere mai esami e rispettare 
programmi?" Per evitare di produrre una risposta chilometrica mi limiterò al 
caso italiano. In Italia le scuole libertarie non sono riconosciute 
ufficialmente come scuole paritarie, bensì come consorzi di genitori che 
decidono, avvalendosi del diritto all'istruzione parentale (garantito dagli 
articoli 30 e 33 della costituzione italiana, oltre che dal decreto legislativo 
297/94), di educare direttamente i propri figli, delegando il compito della 
loro istruzione a dei tutori. E' quindi necessario sostenere degli esami 
esterni, ogni anno o alla fine dei vari cicli previsti dalla legge (elementari, 
medie ecc.), al fine di consentire ai bambini di ottenere i vari diplomi e 
documenti ufficiali che attestano la loro conoscenza e permettono loro di 
accedere ai gradi di istruzione superiore. Questo è ovviamente un forte limite 
alla libertà dei bambini e alla possibilità di personalizzazione dei programmi. 
Le soluzioni sono diverse (tutte ovviamente basate su compromessi). In certe 
scuole si è deciso di rendere obbligatorie determinate lezioni particolarmente 
utili alla preparazione degli esami, in altre di lasciare i bambini liberi di 
scegliere se prepararsi o meno (con il rischio di perdere un anno ma 
conservando i principi di libertà alla base della scuola) ma fornendo loro la 
possibilità di frequentare corsi intensivi di preparazione qualora decidessero, 
all'avvicinarsi della data fatidica, di sostenere l'esame. Spesso queste 
diverse soluzioni sono decise dai bambini e dagli insegnanti proprio attraverso 
l'assemblea generale, il che è un segno del senso di responsabilità che 
possiedono i bambini liberi. Naturalmente gli esami esterni snaturano in parte 
la struttura della scuola, e ne minano l'atmosfera, che resta comunque 
largamente migliore di quella che si respira in una scuola tradizionale.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
Per maggiori informazioni riguardo agli aspetti legali la invito a fare 
riferimento, oltre che ai siti segnalati nell'articolo, al libro di recente 
pubblicazione “Liberi di Imparare” (edito da Terra Nuova edizioni), che nelle 
sue ultime pagine dedica ampio spazio alla questione normativa. Spero di aver 
soddisfatto almeno in parte i suoi dubbi. Mi faccia sapere se ha altre domande 
o se desidera ulteriori chiarimenti.
 
Federico Tabellini
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
(sono stato costretto a dividere il messaggio in tante parti per rendere un 
minimo leggibile il testo, in quanto nei commenti non è permesso andare a 
capo...)
 
Alessandra Piccoli
martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi
Grazie molte!
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