CHI SIAMO COLLABORA FORUM DOWNLOAD NEWSLETTER LIBRERIA LINK VIDEOTECA Noi siamo veramente liberi ! RSS subscribe Seguici su Twitter Iscriviti su Facebook DECRESCITA PRATICHE AMBIENTE ED ECOLOGIA ENERGIA POLITICA ED ECONOMIA SOCIETÀ Bambini, libertà e decrescita: la proposta delle scuole democratiche e libertarie SOCIETÀ di Federico Tabellini | il 11 giugno 2012 | 9 commenti Il tema della scuola, negli scritti sulla decrescita, passa generalmente in secondo piano. Anche quando si discute di decolonizzazione dell’immaginario e di risveglio culturale, si tende a porre l’enfasi sull’influenza della pubblicità, dei media, della propaganda politica ed economica. Eppure la scuola, insieme alla famiglia, è ancora oggi un elemento centrale nella formazione degli individui. Tutti devono passarci, nessuno escluso: essa rappresenta lo spazio di socialità per eccellenza dei bambini, nonché la fonte principale delle loro preoccupazioni e delle loro conquiste. Quando parliamo di scuola abbiamo tutti in mente degli elementi ben precisi i quali, uniti, costituiscono il modello scolastico occidentale, considerato da più parti come una tra le più grandi conquiste del secolo scorso. Nell’istruzione standardizzata e aperta a tutti si ravvisano criteri di eguaglianza, mentre nel sistema ad esami basati su valutazioni imparziali poggerebbe la tanto blasonata meritocrazia a cui tutti noi, cittadini democratici, dobbiamo un venerante rispetto. Raramente, tuttavia, se ne considerano gli effetti negativi. Valutazioni. Fra questi occorre innanzitutto evidenziare le logiche di competizione insite nel modello ed esasperate da un sistema di valutazioni univoco e inappellabile, basato su premi (voti positivi) e punizioni (voti negativi, ma anche note sul registro e strigliate verbali), che non lascia spazio a dinamiche di cooperazione fra gli alunni in quanto controproducenti a livello individuale (ognuno lavora per sé, e se aiuta un altro a prendere un voto più altro il suo avrà di conseguenza meno risalto). Un tale modello sposta l’attenzione degli studenti dal processo d’apprendimento in sé al premio finale, dallo studio per lo studio allo studio per il voto, finendo col far perdere interesse per l’oggetto dell’apprendimento in se stesso. Ve ne potete rendere facilmente conto prendendo un autobus in una qualsiasi città italiana negli orari di uscita dalle scuole. Le domande che sentirete gli studenti porsi avranno più o meno tutte lo stesso tenore: “quanto hai in mate?”, “quanto hai preso in storia?”; di rado udirete invece domande quali “sei capace di risolvere un’equazione quadratica?” o “cosa ne pensi del sacco di Roma”. La stigmatizzazione di chi ottiene valutazioni inferiori (e talvolta anche di chi ne ottiene di elevate) è un’altra conseguenza diretta e naturale di questo tipo di approccio all’insegnamento. Competizione e individualismo vengono premiati fin dalla più tenera età, ergendosi a capisaldi della vita scolastica quotidiana. Programmi standardizzati. La presenza di curriculum standardizzati alle superiori e addirittura di un unico curriculum (con lievi variazioni da scuola a scuola) per medie ed elementari è un altro elemento affatto privo di conseguenze. Esso conduce ad un’omologazione delle conoscenze fra i discenti e, in nome di un supposto eguale diritto allo studio, priva questi ultimi di qualsivoglia facoltà di scelta circa le materie da studiare, escludendo numerose branche del sapere e priviligiandone altre. Così ad esempio la letteratura italiana si studia fino alla noia alle elementari, alle medie e alle superiori, mentre le nozioni più basilari di economia o di storia del cinema (solo per citare due esempi) non sono di solito nemmeno prese in considerazione dai programmi ministeriali. Perfino in materie sovratrattate come l’italiano alcuni autori vengono fatti studiare fino allo sfinimento, mentre altri sono solamente accennati o addirittura taciuti. Si giunge in tal modo al paradosso di bambini e ragazzi che, provando forti interessi per materie di studio non convenzionali, sono invece portati a studiarne altre coattivamente e con scarso profitto (è più difficile studiare qualcosa che non interessa), mentre coloro i quali sono interessati alla letteratura italiana – o alla matematica, o alla storia – otterranno risultati migliori con relativa facilità. La realtà è che si tratta di due studenti con differenti interessi, mentre verranno giudicati dagli insegnanti, dai genitori e dalla società come individui più o meno portati per lo studio. E tuttavia sarebbe miope non ravvisare che il problema di fondo insito nell’omologazione dei programmi è un altro. Lo dirò chiaramente e senza troppi giri di parole: l’imposizione di programmi non personalizzabili e calati dall’alto prescindendo dagli interessi personali dei singoli studenti, conduce inevitabilmente al prosciugamento dell’interesse. La spontanea curiosità del bambini viene meno quando non è lasciata loro la possibilità di porre domande ed ottenere risposte, quando sono costretti a marcire per anni e anni all’interno di un’istituzione gerarchica, divisa rigidamente a livello temporale (anni scolastici, orari, pause che iniziano e finiscono con una campanella) e spaziale (classi divise per età), dove è obbligatorio eseguire gli ordini con una certa costanza – pena il dover ripetere un anno – e dove il diritto allo studio è un diritto vuoto, perché è un diritto a qualcosa deciso da altri, secondo criteri di altri e senza possibilità di recesso. E’ un diritto al dovere, come lo era la coscrizione obbligatoria. Per difendere la patria e la nazione la prima, per difendere la tradizione e lo status quo la seconda. Un modello antropologico di uomo. Ma qual’è il modello di adulto che una tale scuola mira, come istituzione, a produrre? E uso il verbo produrre di proposito, al fine di sottolineare il fatto che l’istruzione scolastica occidentale è funzionale al modello economico-sociale vigente. All’economia, alla politica – per il quieto vivere – occorrono adulti obbedienti, colti ma di una cultura stantia, arrugginita, che credano ciecamente nelle regole stabilite (perché è stato sempre così) e che anche quando si ribellano lo facciano riportando in vita antiche ribellioni, magari un comunismo d’altri tempi urlato senza sapere bene contro chi, per ammantarsi di ideali che non si conoscono. Persone in grado di obbedire agli ordini senza porsi troppe domande, che sfoghino le proprie repressioni nel consumo; che lavorino duro per consumare di più e per riuscire a far carriera così da poter incrementare ancora e ancora i propri consumi. E l’economia gira, ed è prosperità, e tutti sono felici nella propria gabbia d’oro – o d’argento, o di bronzo – perché sono liberi di scegliere, anche se quasi nessuno lo fa mai. Del resto la scuola ha insegnato loro che l’obbedienza alle norme costituite premia, permette di ottenere buoni risultati, di essere giudicati bene dagli altri, al contrario del pensiero critico. Il senso di responsabilità che la scuola trasmette è un senso di responsabilità passivo, che si esaurisce nel fare quello che ci viene detto senza discutere, nel consegnare i compiti assegnati in orario, ben ordinati e compilati. Non vi è responsabilità per le scelte fatte, perché a scuola non sono gli studenti a scegliere. E allora all’autodisciplina si sostituisce la disciplina, e la convinzione che i bambini vadano spinti con la forza nella giusta direzione, perché altrimenti si perderebbero o farebbero chissà quale follia (magari giocherebbero… non sia mai!), è radicata profondamente nella mente degli adulti. Qualcuno adesso dirà: “ma se non li formassimo per far si che ottengano un buon lavoro e un buono stipendio faremmo solo loro del male! I bambini non sanno cos’è meglio per loro!”. Siamo sicuri di saperlo noi, invece? Davvero siamo a tal punto persuasi che un lavoro remunerativo e un portafogli pieno siano la cosa migliore? Che per ottenerli si possano sacrificare senza pensarci anni di vita in una classe, e poi otto ore al giorno per il resto della nostra vita? Non sarebbe meglio realizzare qualcosa di creativo, gratificante, anche se sottopagato? Non sarebbe meglio lavorare tre ore al giorno invece che otto, e andare in giro in bicicletta invece che in auto? Non sarebbe meglio sacrificare l’avere anziché l’essere? Non è filosofia, ma un invito a riflettere sul nostro attuale stile di vita. Ci consideriamo liberi di scegliere, ma siamo schiavi delle cose che potremmo possedere. Lo siamo a tal punto da obbligare i nostri figli a studiare per anni e anni solo per permettergli di avere una macchina lussuosa e una casa con giardino. La maggior parte di loro, per quanto ci sforziamo, finirà per ottenere un lavoro da impiegato e vivrà in un appartamento di periferia, ma vale la pena di tentare, c’è sempre speranza! Non intendo sostenere naturalmente che bisognerebbe impedire ai nostri figli di vivere le proprie vite da consumatori, che bisognerebbe fare di loro degli eremiti. Dico solo che andrebbero loro concessi gli strumenti per vivere altrimenti. E’ necessario concedere ai giovani la possibilità di scegliere in modo autonomo cosa vogliano essere, permettendo loro di agire di conseguenza, seguendo le proprie inclinazioni. Non tutti diventeranno manager di multinazionali, perché non tutti sono portati a farlo e – incredibile ma vero – non tutti lo vogliono. Ad alcuni bambini piace costruire le cose: diventeranno degli ottimi architetti, o degli ottimi muratori o ingegneri. Fare il muratore non è affatto un fallimento per uno che voglia farlo, a meno che in una società i muratori vengano visti come persone di serie B. A meno che i muratori non facciano i muratori perché hanno fallito nel tentativo di diventare a tutti i costi dei manager. Utopia. E’ questa la parola, a caratteri maiuscoli, che spiccava come primo commento di un mio articolo di qualche tempo fa dove parlavo di queste cose. Il commento finiva lì, una sola parola a bollare un’idea troppo estrema, troppo in antitesi con il nostro modo di pensare. Assurdo permettere ai bambini di decidere autonomamente cosa studiare e quando farlo, o di non farlo affatto. Permettere loro di decidere tutti insieme e con gli insegnanti le regole della scuola. Assurdo non valutare giorno per giorno le loro prestazioni attraverso dei numeri. Assurda una scuola aperta all’arte, alla creatività; una scuola dove si possa giocare! Eppure, nonostante tutto, mi sento di dire con forza che non si tratta di un’utopia. Non solo una scuola di questo tipo è possibile: esiste già, e da molto tempo. Scuole libertarie, scuole democratiche. Si chiamano scuole libertarie, o democratiche (a seconda dell’enfasi maggiore che si vuole conferire all’uno o all’altro dei componenti che ne sono alla base: la libertà e la partecipazione) e sono oramai diffuse in molti paesi del mondo, Italia inclusa. Sebbene possano differire sensibilmente fra loro, in quanto a struttura e pratiche, tre elementi le accomunano tutte: 1) L’assenza di voti. I bambini semplicemente non vengono giudicati per le loro conoscenze. Non vi sono né verifiche né esami né interrogazioni (sacrilegio!). La cosa sorprendente è che molto spesso in assenza di questi elementi i bambini apprendono più velocemente, fanno più domande quando non capiscono qualcosa (poiché non hanno paura di essere giudicati per questo) e instaurano fra loro meccanismi di cooperazione finalizzati all’apprendimento e non ai feedback dell’insegnante (copiare diventa una pratica priva di senso). 2) L’assenza dell’obbligo di frequenza delle lezioni e la possibilità di scegliere quali lezioni frequentare. I bambini che si trovano in classe in una scuola libertaria sono lì perché vogliono esserci, dunque quando ci sono seguono con attenzione, cercano di apprendere il più possibile e partecipano più attivamente dei bambini che frequentano una scuola tradizionale. Se vogliono possono non andare affatto a lezione, scegliendo di giocare o fare altro (ad esempio leggere qualcosa che stimola il loro interesse). In certe scuole alcune lezioni (di solito quelle riguardanti argomenti giudicati essenziali quali leggere e scrivere, o l’aritmentica di base) hanno carattere obbligatorio, in altre perfino queste sono facoltative. Nel secondo caso, l’esperienza insegna che la grande maggioranza dei bambini sceglie di frequentarle comunque. 3) Assemblea generale. In un certo senso il cuore pulsante di ogni scuola democratica. Si tratta di un organo assembleare al quale partecipano tutti i membri della scuola, ovvero studenti, insegnanti e (ma non sempre) genitori. Ogni individuo ha un voto, dunque il voto di un insegnante vale come quello di un bambino. L’assemblea si occupa di promulgare, revisionare e cassare le regole della scuola, sottoponendo a votazione le proposte originate dai suoi membri sulla base di principi maggioritari di varia natura (di solito lo standard è la maggioranza semplice). Una volta che una regola è stata approvata dall’assemblea tutti, senza eccezioni, sono tenuti a rispettarla, pena una sanzione (di solito decisa dall’assemblea stessa). In questo modo ogni bambino si sente maggiormente responsabile delle proprie azioni, poiché le regole che è tenuto a rispettare non sono calate dall’alto ma sono state elaborate con il suo contributo e approvate con il suo consenso. Lo scopo della scuola è la felicità. Detto così potrebbe suonare strano o banale. Naturalmente lo sviluppo umano dei bambini, dal punto di vista emotivo (fiducia in se stessi, socialità ecc.) e intellettuale (cultura, senso critico, creatività) resta lo scopo più tangibile di una scuola libertaria, e spesso rappresenta anche l’intento manifesto delle scuole tradizionali (sebbene nei fatti poi le cose siano molto diverse). Quello che cambia è il fine di lungo periodo e l’ideale a cui quest’ultimo fa riferimento. Nel caso di una scuola tradizionale si tratta dell’inserimento nella società, possibilmente in una posizione rispettata e ben remunerata. Quello di una scuola libertaria è far sì che i bambini siano felici, e metterli in condizione di divenire adulti altrettanto felici. A questo fine non conta riuscire a occupare una posizione di prestigio, quanto realizzare se stessi seguendo la propria strada. Non la strada che altri ritengono una buona strada, non ciò che da altri è considerato un buon lavoro, ma ciò che il bambino vuole fare. In altre parole, fornire a ognuno gli strumenti per sviluppare le proprie peculiari capacità secondo i propri desideri. Agli insegnanti, in questa prospettiva, è assegnato il compito di aiutare gli allievi a trovare il proprio percorso e a seguirlo e non, come accade nelle scuole tradizionali, di spingerli a imboccarne uno precostituito e giudicato migliore per loro dalla società. Una società felice inizia con dei bambini felici. Mi piace pensare alle società della decrescita come a società della crescita umana. Società libere dove ognuno possa seguire le proprie inclinazioni con calma, senza subire pressioni per arrivare a essere qualcuno, per riuscire a comprarsi una felicità. Potrebbe apparire folle l’idea di estendere questa libertà ai bambini. Io ritengo, al contrario, che quando riusciremo a sostituire l’aggettivo folle con l’aggettivo necessario avremo compiuto un passo enorme nella direzione di una società più serena. Bambini educati a essere liberi di seguire i propri tempi diverranno adulti più calmi, più sicuri e più sociali. Solo in questo modo sarà possibile sostituire la retorica e la pratica della competizione con la retorica e la pratica della cooperazione. La cooperazione volontaria, basata sul rispetto della libertà degli altri. Il fatto che molte persone giudichino proposte come questa utopiche non è affatto indice della loro irrealizzabilità, quanto della scarsa lungimiranza a cui ci ha abituati un’istruzione da automi, che ci ha trasmesso una visione della storia lineare e inesorabile. Ma le cose stanno lentamente cambiando. L’ideale di una scuola più libera, veicolato delle scuole democratiche di tutto il mondo, si sta espandendo, e ottiene sempre maggiori consensi anche nella vecchia Europa. Nel 2008, ad esempio, è nata, dall’unione di diverse realtà europee, l’EUDEC, organizzazione che si pone l’obiettivo di coordinare e aiutare le scuole democratiche già attive e quelle che ancora devono nascere. Un’organizzazione simile già esiste negli Stati Uniti, e un’altra potrebbe nascere a breve in America Latina. Conclusioni. Non voglio dilungarmi oltre, data la lunghezza considerevole già raggiunta dall’articolo. Per chi volesse approfondire, riporto di seguito alcuni siti dove è possibile reperire maggiori informazioni a proposito dell’educazione libertaria: Punto di riferimento importantissimo è sicuramente il sito ufficiale dell’EUDEC, consultabile all’indirizzo www.eudec.org. Vi è poi il sito della Rete per l’Educazione Libertaria, movimento che riunisce la maggior parte delle realtà italiane: www.educazionelibertaria.org. (In questi due siti ospitano inoltre numerosi link verso altri siti e blog riguardanti il tema dell’educazione libertaria e democratica.) Infine, il sito ufficiale della Kiskanu, una fra le più grandi scuole democratiche italiane, con sede a Verona: www.kiskanu.org. Ci sarebbe naturalmente molto di più da dire sull’argomento, e diversi punti importanti non sono stati nemmeno sfiorati dal presente articolo. Vi invito dunque ad approfondire sui siti segnalati e a commentare numerosi, facendomi sapere la vostra opinione. Sono consapevole che, inevitabilmente, molti sentiranno l’impulso irresistibile a scrivere una sola parola, come fece la lettrice del mio blog tempo fa: UTOPIA. A loro in particolare chiedo di approfondire, magari visionando anche i diversi documentari e interviste disponibili in rete, girati nelle scuole, e di prendere visione con i propri occhi di queste realtà. Dopo un po’ che li si osserva ci si rende conto che in effetti non c’è niente di davvero strano o artefatto: sono semplicemente dei bambini che imparano e che giocano. Molti di loro probabilmente non sanno nemmeno che c’è chi considera le loro esperienze di tutti i giorni un’utopia, e probabilmente di questa parola quasi tutti ignorano persino il significato. Probabilmente, trasferiti in una scuola elementare tradizionale, troverebbero tutto quanto molto bizzarro, e chiederebbero in tutta naturalità agli insegnanti e agli altri bambini quando si tiene la prossima assemblea, perché ci sarebbero diverse cose che andrebbero cambiate e che vorrebbero proporre. Si potrebbe allora dire che l’utopia, come la bellezza, sta negli occhi di chi guarda. Alla prossima. Pubblicalo su Facebook 737373737373737373 Pubblicalo su Twitter 333333333 Aggiungilo a FriendFeed Aggiungilo a LinkedIn 111111111 Aggiungilo a Oknotizie Invia con E-mail program Invia con Hotmail Invia con Gmail Invia con Yahoo Mail Pubblicalo su Blogger Vuoi iscriverti ai commenti per questo post? Stampa con PrintFriendly Autore FEDERICO TABELLINI Federico Tabellini ha 23 anni e si laureato in Scienze Politiche all'università statale di Milano, con una tesi legata al tema della decrescita. I suoi interessi spaziano dall'ecologia alla filosofia religiosa. Cura due blog, uno dei quali sulla decrescita (in collaborazione con Mirko Omiccioli): www.acrescita.org. L'altro, più personale, raccoglie riflessioni e articoli su vari argomenti, oltre alle poesie dell'autore: www.imagopovi.wordpress.com. Contatta l'Autore AGGIUNGI UN COMMENTO commenti (9) Alessandra Piccoli lunedì - 11 / 06 / 2012 Rispondi Ho letto con attenzione l'intero documento poiché il tema dell'educazione scolastica come mamma mi coinvolge moltissimo, pur da profana in tema di pedagogia. La mia perplessità innanzi tutto è legata alla reale applicabilità del sistema a livello estensivo, ovvero aperto a tutta la popolazione senza discriminazioni. Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, potrebbe frequentare utilmente una simile scuola? Non vede il rischio che i bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla famiglia o che a casa vivano situazioni difficili possano essere svantaggiati? Certo non più di quanto avviene nella scuola tradizionale, che ha enormi e paurose carenze come anche da lei evidenziato. Quanto è rilevante l'apporto dei genitori nel pieno realizzarsi di una scuola libertaria? Da qui la coerenza di pretendere dallo Stato il riconoscimento di questa forma scolastica ed educativa, preludio necessario alla condivisione delle spese. Quest'ultimo è un elemento molto delicato di tutte le forme scolastico-educative alternative a quella pubblica: come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili? Infine una domanda pratica: come fanno le scuole libertarie a far riconoscere l'adempimento dell'obbligo formativo, previsto per legge, senza sostenere mai esami e rispettare programmi? Si tratta di una curiosità, non di una critica. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi Cara Alessandra, le rispondo con piacere. Devo dire che ha toccato, con il suo intervento, alcuni fra i punti più problematici della questione "scuole libertarie". "Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, potrebbe frequentare utilmente una simile scuola?" Per rispondere alla prima domanda occorrerebbe preliminarmente definire cosa si intenda con la parola "utilmente". Ovvero occorrerebbe stabilire quale debba essere l'obiettivo finale dell'istituzione scuola. Se l'obiettivo designato fosse lo sviluppo armonico dell'individuo, delle sue capacità e talenti, ritengo che le scuole libertarie soddisfino molto meglio delle scuole tradizionali il proprio compito. Se altresì l'obiettivo fosse la formazione di individui che possano inserirsi con successo nelle attuali società, la risposta è più dubbia. Certamente un bambino che fosse interessato a sviluppare le capacità maggiormente richieste dal mondo del lavoro, attraverso un'educazione libertaria avrebbe la possibilità di svilupparle con profitto e accedere in seguito a una vita di successo dal punto di vista finanziario e del prestigio sociale. Come nell'esempio fatto nell'articolo, invece, un bambino che si interessasse tutto il tempo alle costruzioni potrebbe, finita la scuola, diventare un ottimo muratore. E molto probabilmente, a parità di condizioni esterne, sarebbe soddisfatto del suo lavoro tanto quanto il primo bambino. Il suo essere eventualmente meno felice sarebbe da imputare in misura sostanziale al minore apprezzamento della sua mansione da parte della società, dei suoi amici, dei suoi genitori e parenti. Ma il problema sta nella società (e nei genitori, e negli amici e nei parenti) o nel bambino (ormai adulto) e nel tipo di istruzione che ha ricevuto? Un muratore è una persona che non ha studiato o è una persona che ha studiato per diventare muratore? Seguendo la logica della società odierna, ma ribaltandola, si potrebbe tranquillamente sostenere che un professore universitario sia un ignorante, perché non sarebbe in grado di costruire un banale muro di mattoni. Il problema, appunto, non è generato dal lasciare che le persone sviluppino le proprie capacità peculiari in libertà, quanto dal fatto che alcune di queste siano tenute in grande considerazione dalla società mentre altre no. Il punto di vista delle scuole libertarie è che sia meglio produrre muratori felici piuttosto che ingegneri frustrati. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi "Non vede il rischio che i bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla famiglia o che a casa vivano situazioni difficili possano essere svantaggiati?" Il rischio esiste, ed è difficilmente gestibile dalla scuola, in quanto quest'ultima è solo uno degli assi portanti dello sviluppo del bambino, l'altro è costituito dalla famiglia, e in particolare dai genitori. Attualmente il problema è sicuramente marginale, in quanto la stragrande maggioranza dei bambini che frequentano scuole libertarie si trovano lì perché i genitori hanno scelto di mandarceli. E' molto raro poi che un bambino chieda di cambiare e andare in una scuola tradizionale, soprattutto se lì ha iniziato la sua carriera scolastica. Nel caso le scuole libertarie si diffondessero e divenissero maggiormente riconosciute (come sono già, ad esempio, in Israele) potrebbe accadere che alcuni genitori scelgano di mandare i propri figli a studiare in una scuola libertaria senza conoscerne la filosofia di fondo e in seguito, venendone a conoscenza, inizino ad osteggiarla. Come lei stessa ha evidenziato, tuttavia, si tratta di casi limite, che comunque sono presenti anche nelle realtà tradizionali. Là però i bambini non hanno alcuna possibilità di dire la loro, essendo completamente in balia dell'istituzione, e gli stessi genitori hanno limitatissime libertà di intervento (mentre, ricordo, in diverse scuole libertarie i genitori possono partecipare attivamente alle assemblee e in generale alla vita scolastica). Bisogna tenere presente che la via libertaria e democratica all'istruzione non è la panacea per tutti i mali della società; semplicemente (ma è la mia opinione, condivisibile o meno) propone, per alcuni di questi mali, soluzioni più efficaci di quelle tradizionali, usando libertà e democrazia anziché gerarchia e dispotismo. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi "Quanto è rilevante l'apporto dei genitori nel pieno realizzarsi di una scuola libertaria?" Tralasciando l'apporto economico, oggetto della sua successiva domanda, direi che in media l'apporto dei genitori è decisamente superiore a quello permesso da una scuola tradizionale. Dico in media perché ogni scuola libertaria è un caso a sé (per via delle ragioni già spiegate nell'articolo). Si va dall'estremo del genitore che partecipa all'assemblea e svolge attività di volontariato nella scuola (ad esempio aiutando in cucina, oppure in veste di insegnante part-time delle materie di cui è esperto), a quello del genitore che si limita a portare il figlio a scuola e a venirlo a prendere, come in una scuola tradizionale. Vi sono poi casi di scuola-comunità, come Summerhill in Inghilterra, dove i bambini vivono nella scuola e tornano a casa solo nei periodi di vacanza. Quindi, se da una parte i genitori hanno spesso maggiori possibilità di partecipazione alla vita scolastica, dall'altra posseggono meno potere sui propri figli, non potendoli obbligare a svolgere i compiti a casa o a studiare le materie d'esame (in quanto gli uni e le altre non sono presenti, o non posseggono carattere obbligatorio). Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi "Come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili?" Anche qui è impossibile dare una risposta univoca. Naturalmente la soluzione ideale sarebbe il riconoscimento da parte dello stato e l'avvio di sovvenzioni pubbliche. Dato che tale obiettivo, sebbene molto sentito da parte di insegnanti e genitori libertari, in molti stati (fra cui l'Italia) sia ancora lungi dal realizzarsi, le soluzioni per consentire ai genitori che non si possono permettere la quota mensile di iscrivere comunque i propri figli sono diverse (e purtroppo spesso insoddisfacenti). Si va, a seconda della scuola, dalla destinazione di una parte della quota mensile al finanziamento di borse di studio destinate alle famiglie meno abbienti, al lavoro nella scuola da parte dei genitori in cambio di uno sconto sulla quota mensile. Molte famiglie naturalmente non potranno comunque avere accesso ad un'istruzione libertaria per i propri figli, e proprio questo è uno dei problemi principali a cui le varie associazioni (l'EUDEC in primis) stanno cercando di trovare soluzioni. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi "Come fanno le scuole libertarie a far riconoscere l'adempimento dell'obbligo formativo, previsto per legge, senza sostenere mai esami e rispettare programmi?" Per evitare di produrre una risposta chilometrica mi limiterò al caso italiano. In Italia le scuole libertarie non sono riconosciute ufficialmente come scuole paritarie, bensì come consorzi di genitori che decidono, avvalendosi del diritto all'istruzione parentale (garantito dagli articoli 30 e 33 della costituzione italiana, oltre che dal decreto legislativo 297/94), di educare direttamente i propri figli, delegando il compito della loro istruzione a dei tutori. E' quindi necessario sostenere degli esami esterni, ogni anno o alla fine dei vari cicli previsti dalla legge (elementari, medie ecc.), al fine di consentire ai bambini di ottenere i vari diplomi e documenti ufficiali che attestano la loro conoscenza e permettono loro di accedere ai gradi di istruzione superiore. Questo è ovviamente un forte limite alla libertà dei bambini e alla possibilità di personalizzazione dei programmi. Le soluzioni sono diverse (tutte ovviamente basate su compromessi). In certe scuole si è deciso di rendere obbligatorie determinate lezioni particolarmente utili alla preparazione degli esami, in altre di lasciare i bambini liberi di scegliere se prepararsi o meno (con il rischio di perdere un anno ma conservando i principi di libertà alla base della scuola) ma fornendo loro la possibilità di frequentare corsi intensivi di preparazione qualora decidessero, all'avvicinarsi della data fatidica, di sostenere l'esame. Spesso queste diverse soluzioni sono decise dai bambini e dagli insegnanti proprio attraverso l'assemblea generale, il che è un segno del senso di responsabilità che possiedono i bambini liberi. Naturalmente gli esami esterni snaturano in parte la struttura della scuola, e ne minano l'atmosfera, che resta comunque largamente migliore di quella che si respira in una scuola tradizionale. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi Per maggiori informazioni riguardo agli aspetti legali la invito a fare riferimento, oltre che ai siti segnalati nell'articolo, al libro di recente pubblicazione “Liberi di Imparare” (edito da Terra Nuova edizioni), che nelle sue ultime pagine dedica ampio spazio alla questione normativa. Spero di aver soddisfatto almeno in parte i suoi dubbi. Mi faccia sapere se ha altre domande o se desidera ulteriori chiarimenti. Federico Tabellini martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi (sono stato costretto a dividere il messaggio in tante parti per rendere un minimo leggibile il testo, in quanto nei commenti non è permesso andare a capo...) Alessandra Piccoli martedì - 12 / 06 / 2012 Rispondi Grazie molte! Aggiungi un commento Il tuo nome (richiesto) E-mail (richiesta, ma non sarà pubblicata) Inserisci il tuo messaggio Tematiche Ambiente ed ecologia Decrescita Energia Politica Pratiche di decrescita Segnalazioni Società Autori Redazione Rachele Baglieri Michele Baldini Luca Barbirati Angelica Bezziccari Marianna Bonifacio Sabrina Dorsi Elia Frigo Gloria Gelmi Sara Gracci Oliver Haag Emanuele Lo Gioco Massimo Lupo Luca Madiai Giulio Manzoni Marco Matteazzi Mirko Omiccioli Marco Paci Tiziano Pellegrino Anna Perrino Stefano Romboli Federico Tabellini Stefano Terzolo Simone Zuin Articoli recenti Il Marketing delle domande di senso S’io fossi il sindaco del mio paesino… – Un racconto decrescente USARE LE MANI per riprenderci il nostro POTERE PERSONALE Il frigorifero e la legge di casualità Bambini, libertà e decrescita: la proposta delle scuole democratiche e libertarie Commenti recenti Marica su si può fare….naturalmente Marica su S’io fossi il sindaco del mio paesino… – Un racconto decrescente Marica su USARE LE MANI per riprenderci il nostro POTERE PERSONALE Gloria Gelmi su S’io fossi il sindaco del mio paesino… – Un racconto decrescente MiniMà su USARE LE MANI per riprenderci il nostro POTERE PERSONALE La Nuvola 8R Baratto Benessere Bicicletta BIL Consumismo Crescita economica Davis Bonanni Decrescita denaro Dono Economia elettricità Energia Energia Nucleare Energie rinnovabili eolico filiera Fonti alternative Fotovoltaico FV Georgescu-Roegen Home IMS Maurizio Pallante nucleare Obsolescenza Programmata Pecoranera PIL Prodotti Biologici Reciprocità Riciclo Ricontestualizzare Ridistribuire Rilocalizzare rinnovabili riscaldamento globale Ristrutturare Riuso Rivalutare Robert Kennedy Scuola di decrescita Serge Latouche Stili di vita Terna Archivi giugno 2012 maggio 2012 aprile 2012 marzo 2012 febbraio 2012 gennaio 2012 dicembre 2011 novembre 2011 ottobre 2011 settembre 2011 agosto 2011 luglio 2011 giugno 2011 aprile 2011 marzo 2011 febbraio 2011 COLLEGATI REGISTRATI NOTE LEGALI E PRIVACY