BOCCA DI ROSA. ANNI 63.
Porta la data del 20 febbraio 1958 la legge voluta dalla senatrice Merlin sulla
prostituzione. Da 63 anni è l'unica e ultima legge sulla prostituzione nel
nostro Paese. Fino ad allora c'erano le case pubbliche di prostituzione, rette
da tenutarie, con autorizzazioni, controlli sanitari e di polizia, e prelievo
fiscale. Nessuna nostalgia, si intenda.
La legge Merlin fu accolta come rivoluzionaria, coraggiosa e moralizzatrice. Lo
Stato democristiano non poteva tollerare (non a caso ancora oggi qualcuno le
chiama case di tolleranza) o addirittura autorizzare e avere un interesse nella
vendita del corpo della donna. In quelle case c'erano solo donne e occorreva
abbattere il simbolo del maschilismo fascista fondato sulla liceità
dell'acquisto del piacere da parte del maschio.
Ma la legge Merlin innanzi tutto non vieta e non punisce la prostituzione che è
libera, semplicemente chiude le case pubbliche, lasciando le donne libere di
rioccuparsi, anche con lo stesso lavoro. Incrimina chi sfrutta, favorisce,
approfitta, organizza la prostituzione altrui (ciò che fino ad allora faceva lo
Stato) e istituisce dei patronati per la tutela della salute delle prostitute
(istituti ancora esistenti sulla carta ma mai visti nella realtà), ma nessuna
norma si occupa della clientela. Fu ed è una legge ipocrita perché non affronta
alcuna causa, non offre nessuna soluzione, ben sapendo che la prostituzione si
sarebbe spostata altrove.
La realtà della prostituzione, nel frattempo, è cambiata anzi è esplosa con
dimensioni inedite. E' frutto di violenza, tratta e sfruttamento ma talune
volte di libera scelta. La domanda e l'offerta, eterosessuale e omosessuale,
riguarda tutti i generi e le classi. Si intreccia con l'emarginazione e
l'immigrazione. L'Italia si è riempita di finti locali pubblici con privè,
apparenti centri estetici, servizi di accompagnamento, etc. La prostituzione
occupa piazze e vie. Siti internet e social offrono contatti e servizi sessuali
spesso collegati con persone collocate all'estero.
Gli aspetti sanitari per la riapparizione di malattie veneree sfuggono a
qualsiasi controllo. Gli aborti clandestini sono in aumento. Sindaci fantasiosi
emettono ordinanze strampalate per vietare la sosta dei clienti con il
risultato di spostare il problema della prostituzione di qualche chilometro.
Basta non vederlo, e "comunque non nel mio comune".
La giurisprudenza cerca di comprimere il fenomeno dilatando norme forgiate nel
1958 per tutt'altra realtà che mal si adattano a nuove forme di sfruttamento.
Solo lodevolissime associazioni di volontariato si occupano di questo; nessuna
istituzione pubblica! Per il resto regna l'anomia. Nessuno potrà eliminare il
mestiere più antico del mondo, ma proprio per questo è dovere di uno Stato
civile disciplinarlo, capirne le cause, valutarne l'entità, tutelare la libertà
di scelta, la salute e la dignità umana.
La Costituzione non può ammettere un'omissione legislativa che dura da 63 anni,
perché il corpo della politica non ha il coraggio di una politica del corpo, di
infrangere dogmi, ipocrisie e remore clientelari. Già perché ad ogni persona
che si prostituisce corrispondono molti clienti (di tutti i livelli e classi
sociali) e ci vuole coraggio a decidere se questo è lecito e libero, fino a che
punto, in che modo, dove e a quali condizioni.
La prostituzione è anche un enorme sommerso. Qualcuno di tanto in tanto tira
fuori dal cilindro anche una proposta di tassazione. E certamente l'aspetto
fiscale di un'attività redditizia, per quanto praticabile, non è da
sottovalutare ma il tema non è chi e come tassare, piuttosto perché. L'Italia è
il paese in cui se vendi il corpo su un marciapiede nessuno ti chiede conto, ma
se entri in una scuola, la prima cosa che ti mettono in mano è il bollettino
per le tasse scolastiche.
In questo Paese l'uso del cervello è tassato, il resto no.
E' inaccettabile un'anarchia normativa che dietro un finto moralismo nasconde
una realtà che tutti vediamo, sappiamo, e su cui non interveniamo. V'è,
giustamente, un gran parlare di parità di genere, ma non si può trattare di
disuguaglianze di qualsiasi tipo se prima non si tutela la dignità umana, di
chiunque.
Bruno Giordano