Come detto qualche mail fa, ho contattato don Massimo Nardello, autore del programma MyBible, per chiedergli se ci poteva descrivere in due parole la sua esperienza. Lo ha fatto e io vi inoltro la sua risposta. Non sono sicuro che sia il thread giusto, perchè don Massimo abbraccia svariati argomenti, ma per questa volta perdonatemi. Gent. Carlo, anzitutto mi fa piacere che qualcuno cerchi di offrire gratuitamente un software per la gestione del testo della Bibbia e di altri documenti. La mia esperienza si può riassumere in questi punti: 1. Esiste un software open source, Xiphos (ex Gnome Sword), che presto sarà in grado di gestire correttamente anche il canone cattolico. Questa soluzione sarebbe ottimale, e consentirebbe (penso) di gestire anche i documenti del magistero, se si avesse il consenso del Vaticano. Ho contattato i creatori del software qualche mese fa per chiedere loro di includere la traduzione della CEI nel loro pacchetto; mi hanno risposto che sarebbero molto contenti di farlo, ma che in passato avevano avuto grosse difficoltà ad entrare in rapporto con gli uffici competenti (anche per problemi linguistici). Mi hanno chiesto di creare un contatto tra la CEI e il loro gruppo di lavoro; l'ho fatto, ma a tutt'oggi non ho avuto notizie. Non credo che la cosa andrà a buon fine nonostante la disponibilità del responsabile del SICEI. Questa esperienza e i problemi che ho dovuto affrontare quando ho scritto MyBible mi hanno convinto che la CEI non è sostanzialmente disponibile a fare accordi di divulgazione del testo della Bibbia con persone o istituzioni che non siano le note editrici cattoliche italiane o la Unitelm. Quest'ultima, però, fa solo software commerciale e per Windows. 2. La mia esperienza decennale di programmazione mi ha insegnato che fare un software significa prendersi un preciso e oneroso impegno nei confronti degli utenti. Se si scrive qualcosa e lo si divulga invitando le persone ad usarlo, poi si deve garantire un certo futuro al progetto per non ingannare nessuno. Ora, utilizzando Lazarus, la scrittura di un software simile a MyBible, multipiattaforma e in grado di gestire altri documenti, non mi richiederebbe più di una settimana di lavoro; il problema sarebbe dare continuità ad un prodotto del genere, che comporta non solo altro tempo, ma soprattutto una grossa preoccupazione in più e la necessità di mantenersi mentalmente allenati allo sviluppo. Personalmente, in questi ultimi anni ho sentito questo impegno come un carico eccessivo che mi allontanava dal mio ministero pastorale e di insegnamento teologico. Per questo ho lasciato la programmazione. 3. Sul tema dell'open source, qualche mese fa ho cercato di sollecitare la CEI a scrivere un documento sul suo valore etico. In calce le riporto la email inviata a Mons. Casile, responsabile dell'Ufficio per i problemi sociali, il quale mi ha reinviato al SICEI. L'ing. Silvestri ha accolto con grande favore la mia proposta, ma è chiaro che un servizio come quello che dirige lui non può scrivere documenti... Insomma, la situazione mi sembra molto complessa; non vedo molte vie di uscita finché la CEI non assumerà un approccio di tipo "open" alla traduzione della Bibbia e al software... A presto don Massimo **************** Rev. Mons. Angelo Casile, mi chiamo don Massimo Nardello, sono un presbitero di Modena e socio dell'ATI. Ci siamo brevemente incontrati a Roma all'ultimo incontro del gruppo "Salvaguardia per il creato". Le scrivo a seguito della pubblicazione dell'ultima enciclica di Benedetto XVI per suggerirle alcune riflessioni su un tema che mi sta a cuore e che ritengo connesso ad alcuni contenuti del documento; forse in futuro l'Ufficio che lei dirige potrebbe impegnarsi a fare una riflessione su di esso. Si tratta degli aspetti etici del software a sorgenti aperti (open source). Come saprà, il termine indica semplicemente il fatto che un programma per computer è disponibile unitamente al relativo codice sorgente, cioè alle istruzioni che lo costituiscono, per cui chi ha le competenze necessarie lo può studiare, controllare, modificare e migliorare. Al contrario, il software a sorgenti chiusi (closed source) è offerto senza i sorgenti, per cui nessuno può sapere come è stato fatto, studiarlo, controllarne la qualità, modificarlo o migliorarlo. La cosa non è semplicemente tecnica, ma è primariamente etica. Chi sostiene la "filosofia" dell'open source ritiene che non sia lecito (posizioni più radicali) o che non sia preferibile (posizione più moderata) arricchirsi oscurando le conoscenze e le tecnologie che si sono elaborate, ad esempio non condividendo i sorgenti del software, perché tutto - soprattutto la conoscenza - va condiviso con tutti per ragioni etiche: solo in questo modo, infatti, il proprio lavoro va a beneficio dell'umanità intera. Vi sono poi persone che ritengono che il software open source abbia anche tali vantaggi dal punto di vista tecnico da avere una sua competitività rispetto a quello a sorgenti chiusi, e che quindi il dedicarsi a questo tipo di sviluppo sia un possibile modello di business nel mercato informatico. Dietro al software open source - al quale anch'io ho modestamente contribuito come programmatore fino a qualche anno fa - vi è un movimento internazionale di alcune decine di migliaia di programmatori, traduttori, compilatori di documentazione e formatori (stima mia molto indicativa) - molti dei quali sono volontari - che credono nella necessità etica della condivisione universale delle conoscenze. Inoltre, a mio parere, sempre più utenti tra le centinaia di milioni che usano software open source (il solo OpenOffice è stato scaricato 50 milioni di volte da ottobre 2008 a marzo 2009) non lo scelgono solo in ragione della sua gratuità, ma anche per i valori etici che porta con sé. Vi sono poi diverse imprese che scelgono l'open source come modello di business, decidendo di produrre software a sorgenti aperti e di guadagnare soprattutto attraverso la formazione al suo utilizzo o comunque in modalità che seguano la linea della condivisione e non dell'oscuramento delle conoscenze. Di fatto, poi, l'open source va anche a beneficio dei paesi in via di sviluppo perché normalmente è gratuito e richiede solitamente hardware più modesto rispetto al software commerciale (quindi, minore necessità di sostituzione dei computer, e anche meno inquinamento). Ora, mi sembra che diversi passaggi dell'ultima enciclica di Benedetto XVI vadano in questa linea; ne cito alcuni particolarmente significativi: "La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà" (n. 9). "Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario. Nello stesso tempo, in alcuni Paesi poveri persistono modelli culturali e norme sociali di comportamento che rallentano il processo di sviluppo" (n. 22). "La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell'unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione" (n. 42). "Accade così che, spesso, sotto la rete dei rapporti economici, finanziari o politici, permangono incomprensioni, disagi e ingiustizie; i flussi delle conoscenze tecniche si moltiplicano, ma a beneficio dei loro proprietari, mentre la situazione reale delle popolazioni che vivono sotto e quasi sempre all'oscuro di questi flussi rimane immutata, senza reali possibilità di emancipazione" (n. 71). Al di là delle parole di Benedetto XVI, non mi risulta purtroppo che vi siano prese di posizione del magistero episcopale o pontificio sul tema dell'open source. A mio parere sarebbe importante ipotizzare una nota o qualcosa di simile sia per apprezzare quanto c'è di buono nel movimento open source (anche se non è certo nato in ambito religioso), sia per difendere il valore della condivisione della conoscenza e quindi la preferibilità etica del software a sorgenti aperti rispetto a quello a sorgenti chiusi, che pure mantiene la sua legittimità laddove non sia possibile sul piano economico un business di tipo "open". Una nota del genere ci aiuterebbe a diffondere la dottrina sociale in un mondo, quello dell'informatica, in cui si sta sviluppando una riflessione etica di valore che però prescinde completamente dalla visione cristiana, almeno attualmente. Sperando che le mie considerazioni possano stimolare positivamente la sua riflessione, resto a sua disposizione per eventuali chiarimenti. Cordiali saluti don Massimo Nardello, Modena