[eleutheros-it] R: Re: Lettera aperta: obiettivi

  • From: carlo betta <carlobetta@xxxxxxxxx>
  • To: <eleutheros-it@xxxxxxxxxxxxx>
  • Date: Fri, 25 Sep 2009 14:53:39 +0200 (CEST)

Come detto qualche mail fa, ho contattato don Massimo Nardello, autore del 
programma MyBible, per chiedergli se ci poteva descrivere in due parole la sua 
esperienza. Lo ha fatto e io vi inoltro la sua risposta.
Non sono sicuro che 
sia il thread giusto, perchè don Massimo abbraccia svariati argomenti, ma per 
questa volta perdonatemi.

Gent. Carlo,

anzitutto mi fa piacere che qualcuno 
cerchi di offrire gratuitamente un software per la gestione del testo della 
Bibbia e di altri documenti.

La mia esperienza si può riassumere in questi 
punti:

1. Esiste un software open source, Xiphos (ex Gnome Sword), che presto 
sarà in grado di gestire correttamente anche il canone cattolico. Questa 
soluzione sarebbe ottimale, e consentirebbe (penso) di gestire anche i 
documenti del magistero, se si avesse il consenso del Vaticano. Ho contattato i 
creatori del software qualche mese fa per chiedere loro di includere la 
traduzione della CEI nel loro pacchetto; mi hanno risposto che sarebbero molto 
contenti di farlo, ma che in passato avevano avuto grosse difficoltà ad entrare 
in rapporto con gli uffici competenti (anche per problemi linguistici). Mi 
hanno chiesto di creare un contatto tra la CEI e il loro gruppo di lavoro; l'ho 
fatto, ma a tutt'oggi non ho avuto notizie. Non credo che la cosa andrà a buon 
fine nonostante la disponibilità del responsabile del SICEI. Questa esperienza 
e i problemi che ho dovuto affrontare quando ho scritto MyBible mi hanno 
convinto che la CEI non è sostanzialmente disponibile a fare accordi di 
divulgazione del testo della Bibbia con persone o istituzioni che non siano le 
note editrici cattoliche italiane o la Unitelm. Quest'ultima, però, fa solo 
software commerciale e per Windows.

2. La mia esperienza decennale di 
programmazione mi ha insegnato che fare un software significa prendersi un 
preciso e oneroso impegno nei confronti degli utenti. Se si scrive qualcosa e 
lo si divulga invitando le persone ad usarlo, poi si deve garantire un certo 
futuro al progetto per non ingannare nessuno. Ora, utilizzando Lazarus, la 
scrittura di un software simile a MyBible, multipiattaforma e in grado di 
gestire altri documenti, non mi richiederebbe più di una settimana di lavoro; 
il problema sarebbe dare continuità ad un prodotto del genere, che comporta non 
solo altro tempo, ma soprattutto una grossa preoccupazione in più e la 
necessità di mantenersi mentalmente allenati allo sviluppo. Personalmente, in 
questi ultimi anni ho sentito questo impegno come un carico eccessivo che mi 
allontanava dal mio ministero pastorale e di insegnamento teologico. Per questo 
ho lasciato la programmazione.

3. Sul tema dell'open source, qualche mese fa 
ho cercato di sollecitare la CEI a scrivere un documento sul suo valore etico. 
In calce le riporto la email inviata a Mons. Casile, responsabile dell'Ufficio 
per i problemi sociali, il quale mi ha reinviato al SICEI. L'ing. Silvestri ha 
accolto con grande favore la mia proposta, ma è chiaro che un servizio come 
quello che dirige lui non può scrivere documenti...

Insomma, la situazione mi 
sembra molto complessa; non vedo molte vie di uscita finché la CEI non assumerà 
un approccio di tipo "open" alla traduzione della Bibbia e al software...

A 
presto

don Massimo


****************
Rev. Mons. Angelo Casile,

mi chiamo don 
Massimo Nardello, sono un presbitero di Modena e socio dell'ATI. Ci siamo 
brevemente incontrati a Roma all'ultimo incontro del gruppo "Salvaguardia per 
il creato". Le scrivo a seguito della pubblicazione dell'ultima enciclica di 
Benedetto XVI per suggerirle alcune riflessioni su un tema che mi sta a cuore e 
che ritengo connesso ad alcuni contenuti del documento; forse in futuro 
l'Ufficio che lei dirige potrebbe impegnarsi a fare una riflessione su di esso. 
Si tratta degli aspetti etici del software a sorgenti aperti (open source).


Come saprà, il termine indica semplicemente il fatto che un programma per 
computer è disponibile unitamente al relativo codice sorgente, cioè alle 
istruzioni che lo costituiscono, per cui chi ha le competenze necessarie lo può 
studiare, controllare, modificare e migliorare. Al contrario, il software a 
sorgenti chiusi (closed source) è offerto senza i sorgenti, per cui nessuno può 
sapere come è stato fatto, studiarlo, controllarne la qualità, modificarlo o 
migliorarlo.

La cosa non è semplicemente tecnica, ma è primariamente etica. 
Chi sostiene la "filosofia" dell'open source ritiene che non sia lecito 
(posizioni più radicali) o che non sia preferibile (posizione più moderata) 
arricchirsi oscurando le conoscenze e le tecnologie che si sono elaborate, ad 
esempio non condividendo i sorgenti del software, perché tutto - soprattutto la 
conoscenza - va condiviso con tutti per ragioni etiche: solo in questo modo, 
infatti, il proprio lavoro va a beneficio dell'umanità intera. Vi sono poi 
persone che ritengono che il software open source abbia anche tali vantaggi dal 
punto di vista tecnico da avere una sua competitività rispetto a quello a 
sorgenti chiusi, e che quindi il dedicarsi a questo tipo di sviluppo sia un 
possibile modello di business nel mercato informatico.

Dietro al software open 
source - al quale anch'io ho modestamente contribuito come programmatore fino a 
qualche anno fa - vi è un movimento internazionale di alcune decine di migliaia 
di programmatori, traduttori, compilatori di documentazione e formatori (stima 
mia molto indicativa) - molti dei quali sono volontari - che credono nella 
necessità etica della condivisione universale delle conoscenze. Inoltre, a mio 
parere, sempre più utenti tra le centinaia di milioni che usano software open 
source (il solo OpenOffice è stato scaricato 50 milioni di volte da ottobre 
2008 a marzo 2009) non lo scelgono solo in ragione della sua gratuità, ma anche 
per i valori etici che porta con sé. Vi sono poi diverse imprese che scelgono 
l'open source come modello di business, decidendo di produrre software a 
sorgenti aperti e di guadagnare soprattutto attraverso la formazione al suo 
utilizzo o comunque in modalità che seguano la linea della condivisione e non 
dell'oscuramento delle conoscenze. Di fatto, poi, l'open source va anche a 
beneficio dei paesi in via di sviluppo perché normalmente è gratuito e richiede 
solitamente hardware più modesto rispetto al software commerciale (quindi, 
minore necessità di sostituzione dei computer, e anche meno inquinamento).


Ora, mi sembra che diversi passaggi dell'ultima enciclica di Benedetto XVI 
vadano in questa linea; ne cito alcuni particolarmente significativi:

    "La 
condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, 
non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, 
ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre 
alla reciprocità delle coscienze e delle libertà" (n. 9).
    "Ci sono forme 
eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un 
utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel 
campo sanitario. Nello stesso tempo, in alcuni Paesi poveri persistono modelli 
culturali e norme sociali di comportamento che rallentano il processo di 
sviluppo" (n. 22).
    "La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e 
polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell'unità di tutte le 
sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed 
orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di 
comunione e di condivisione" (n. 42).
    "Accade così che, spesso, sotto la 
rete dei rapporti economici, finanziari o politici, permangono incomprensioni, 
disagi e ingiustizie; i flussi delle conoscenze tecniche si moltiplicano, ma a 
beneficio dei loro proprietari, mentre la situazione reale delle popolazioni 
che vivono sotto e quasi sempre all'oscuro di questi flussi rimane immutata, 
senza reali possibilità di emancipazione" (n. 71).


Al di là delle parole di 
Benedetto XVI, non mi risulta purtroppo che vi siano prese di posizione del 
magistero episcopale o pontificio sul tema dell'open source. A mio parere 
sarebbe importante ipotizzare una nota o qualcosa di simile sia per apprezzare 
quanto c'è di buono nel movimento open source (anche se non è certo nato in 
ambito religioso), sia per difendere il valore della condivisione della 
conoscenza e quindi la preferibilità etica del software a sorgenti aperti 
rispetto a quello a sorgenti chiusi, che pure mantiene la sua legittimità 
laddove non sia possibile sul piano economico un business di tipo "open". Una 
nota del genere ci aiuterebbe a diffondere la dottrina sociale in un mondo, 
quello dell'informatica, in cui si sta sviluppando una riflessione etica di 
valore che però prescinde completamente dalla visione cristiana, almeno 
attualmente.

Sperando che le mie considerazioni possano stimolare 
positivamente la sua riflessione, resto a sua disposizione per eventuali 
chiarimenti.

Cordiali saluti

don Massimo Nardello, Modena

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