-------- Messaggio Originale --------
una etnocrazia , una
cosiddetta democrazia fondata sull'appartenenza etnica, difende la
propria identità o "purezza" cacciando 1500 famiglie dalle loro case
dopo averle demolite.purtroppo non si può prevedere un esito diverso.
dal 1967 18mila case sono state demolite dagli israeliani. la scusa è
sempre quella, abusivismo. il massacro di gaza, le incursioni in
Cisgiordania, le demolizioni di case, il ritiro di 8 mila carte
d'identità , è un processo di "pace" inarrestabile che spingerà
inevitabilmente a situazioni di rivolta drammatiche... Obama non ha
cambiato politica, gli usa non vanno a ginevra alla conferenza durban
sul razzismo organizzato dalle nazioni unite. Non rimane altro che
usare il boicottaggio fino a costringere l'europa e qualche altro stato
ad emettere sanzioni contro israele. carlo
La serrata in solidarietà con gli arabi
cacciati da Gerusalemme est
Una giornata particolare
Ramallah chiusa per sciopero
Irene Ghidinelli Panighetti
Ramallah
E' davvero una giornata particolare a Ramallah. Non tanto per il cielo
plumbeo e i nuvoloni neri densi di pioggia (del resto fatto non
inusuale in questo mese), quanto per i negozi tutti chiusi, evento
eccezionale che non accede nemmeno di venerdì, giorno di preghiera e
teoricamente di riposo per i Musulmani. Ma stavolta i negozianti della
capitale dei Territori Occupati, così come quelli di gran parte delle
altre città, hanno deciso di non aprire, rispondendo all'appello allo
sciopero generale lanciato da diverse realtà politiche e religiose in
solidarietà con le persone di Gerusalemme est minacciate da immediata
deportazione dalle loro case.
La vicenda è di lunga data, ma in questi giorni sta avendo una
accelerazione, come ha spiegato mercoledì in una conferenza stampa Amad
Al-masri, capo del consiglio islamico di Gerusalemme: il comune della
città (istituzione israeliana che amministra anche la parte
palestinese) ha infatti deciso di iniziare la demolizione di 88 case e
la deportazione delle famiglie ivi residenti, nel quartiere di
Al-Bustan, oltre 1500 persone in prevalenza donne, anziani e bambini
che da anni vivono in una situazione di guerra a bassa intensità
sferrata dalle istituzioni comunali che vogliono cacciare la
popolazione araba, nella speranza di costruire una grande città ebraica.
Nel corso degli anni interi quartieri arabi sono stati evacuati per far
posto alle colonie, che oggi cingono quasi interamente la Gerusalemme
storica; una strategia di deportazione messa in campo per vincere con
la forza ciò che invece gli israeliani stanno perdendo con la
demografia: «nel 1973 il comune di Gerusalemme decise che gli arabi non
potevano superare il 22% della popolazione cittadina», spiega l'ing.
Kalid Tafakje, ma nel 2008 gli arabi sono saliti al 35% e nel 2050 si
prevede che saranno oltre il 50%. Per impedire tutto ciò il comune si è
mosso sia ritirando le carte di identità a 8mila persone, che quindi
ora non hanno più il permesso di vivere in città, sia attuando una vera
e propria politica di demolizione di case dei quartieri di Gerusalemme
est. In questo momento e'sotto pressione quello di Al-Bustan, che dal
22 febbraio è in concreto pericolo di sgombero.
La vicenda di questo quartiere iniziò nel 1976, quando il comune decise
di designare la zona come area verde, e quindi di distruggere le case
dei Palestinesi che vi vivevano da oltre cent'anni. I residenti si
opposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte
Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti proposero al comune un loro piano: si
impegnavano ad accettare la costruzione della zona verde, ma in cambio
volevano continuare a viverci e gestire loro stessi la riserva
naturale. Pochi giorni fa, il 17 febbraio, il comune e il ministero
degli interni hanno comunicato il loro rifiuto della proposta e il 22
sono iniziati i lavori di monitoraggio per demolire le case. Per
resistere a questo ennesimo crimine israeliano la mobilitazione è
iniziata, e si sta estendendo; «chiediamo la solidarietà
internazionale» dice Adnan Husseini, del comitato in difesa di
Al-Bustan, «e facciamo appello al consiglio di sicurezza dell'Onu,
sperando che questa volta non metta il veto». Ma non sarà affatto
facile fermare le ruspe, anche perché il quartiere sorge vicino alla
Spianata delle Moschee, ed è noto l'intento israeliano di impossessarsi
dei luoghi sacri musulmani, per altro letteralmente adiacenti a quelli
ebraici.
Al posto di Al-Bustan il comune incoraggia e finanzia l'espansione di
una colonia, Maale Zeitim, che però «è illegale secondo le leggi
internazionali» ricorda Zyad Qu'war, la cui casa è sotto la minaccia
della demolizione. «Noi vogliamo la pace e restare nella terra dei
nostri padri» aggiunge con il pacato ardore tipico di chi ha vissuto
tante sofferenze Mazen Abu Diab, rappresentante del comitato di
quartiere; «che la comunità internazionale ci aiuti», conclude questo
anziano dal viso solcato da profonde rughe di dolore.
In attesa di improbabili mosse internazionali, sono stati i Palestinesi
a mobilitarsi oggi, con uno sciopero sentito e partecipato: è davvero
raro vedere negozi chiusi da queste parti, soprattutto nella Ramallah
centro di traffici commerciali vivaci e incessanti. Ma era importante
esprimere la solidarietà ai fratelli di Gerusalemme est, non farli
sentire soli in un momento in cui i riflettori sono puntati su Gaza o
sui colloqui del Cairo, situazioni sicuramente tragiche e fondamentali
che però spesso mettono in ombra le battaglie e le resistenze che da
anni, quotidianamente, sono vive in tutta la Palestina.
Liberazione
01/03/2009
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Diego Iracᅵ
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Torino (Italy)
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